IL MECCANICO DELLA TOPA




Non stavo proprio alla canna del gas, ma tanto per non farmi trovare impreparato mi allenavo di giorno con la marmitta della berlina del Capo e di sera con i miei camperos.
Le mie condizioni economiche seguivano passo passo quelle psicologiche e il quadro generale era da inginocchiati e prega o grattati le palle e bestemmia. Insomma, da schifo.
Le cose cambiarono quando il Jeppo scavalcò il bancone, si sistemò il ciuffo a banana e strizzandomi l’occhio mi allungò un biglietto da visita.
E così dopo soli due giorni ero alle dipendenze del Meccanico della Topa, il più rinomato pappone della città.
Non mi è mai piaciuto abusare delle donne ma queste però erano puttane.
E a essere sincero non mi sono mai piaciuti neppure i papponi ma questo Meccanico della Topa aveva davvero una marcia in più. Era proprio di un’altra categoria.
Accidenti, rimetteva a posto qualsiasi vecchia baldracca.
Se le caricava sulla roulotte, gli dava un paio di botte e queste nel giro di dodici/quindici, massimo diciotto ore rifiorivano dimostrando venti/venticinque anni di meno.
Non riuscii mai a capire come diavolo facesse.
Anche perché a ben vedere il suo piffero non era davvero niente di straordinario.
Fatto sta che con tutte queste plusvalenze, prendeva a zero e rivendeva a venti, faceva un casino di bigliettoni.
Entrai nel giro del Meccanico della Topa proprio al momento giusto.
Gli affari andavano una meraviglia e lui non riusciva a tenere a bada tutte quelle gallinelle.
E così mi affidò un pullman, una mappa e una frusta.
Io e sedici puttane in giro per la regione, per vallate, fossi e argini.
Arrivavo in un posto, studiavo la situazione e poi le sguinzagliavo.
Loro si davano, io le proteggevo.
Quando qualcosa non andava, sapevo bene come farle andare: a forze di botte, di ricatti o di frustate.
Il casino era quando scendevamo al sud con tutti quei bifolchi e rubagalline.
C’erano più ubriaconi e sdentati lì che nelle foto segnaletiche di dodici Centrali messe insieme.
Comunque mi sentivo tipo una rockstar in tournée. Tre mesi filati di questo passo.
Tornai carico di grana ma anche di stanchezza.
Vedere fica tutti i giorni è un’esperienza che auguro soltanto ai maniaci sessuali.
Non so, credo che solo un surfista potrebbe capirmi perché è come entrare in un’onda anomala e non sapere come venirne fuori.
Mi riposai due settimane e poi via con un nuovo carico.
Stessa storia: sdentati, ubriaconi, cazzotti, fica, frustate, autostrade, ricatti, fossi e strade provinciali.
Al ritorno stesso risultato: grana a palate e stanchezza disumana.
Ero veramente a pezzi e con tanti di quei soldi da poter stare con le chiappe coperte per minimo due annetti buoni.
Insomma, era arrivata l’ora di darci un taglio e di rientrare nella categoria del mi sveglio quando lo decidono i miei occhi.
Al Meccanico della Topa gli dissi amico, io di questo circo mi sono un po’ stufato.
Mi rispose ti capisco ma, per favore, coprimi solo un altro giro, solo un altro. L’ultimo.
Mi rimisi in marcia con un nuovo carico di puttane.
Ormai anche le tette mi davano il voltastomaco. Mi salvavo pensando che la fine era ormai vicina o attaccando il naso all’Arbre Magic che penzolava davanti al parabrezza.
A sud oltre agli ubriaconi e agli sdentati ci imbattemmo anche in un gruppo di Testimoni di Geova sotto anfetamine.
E’ stato un incontro strano, quasi scioccante perché per la prima volta li ho visti fottere qualcuno senza aprire bocca o promettergli qualcosa.
Al ritorno era davvero a pezzi.
Gli affari erano andati benissimo ma io ero davvero a pezzi.
Strinsi la mano al Meccanico della Topa, lo ringrazia e mi andai a prendere una birra dal Jeppo.
Due ore dopo mi ritrovai nudo, stretto e abbracciato a un camionista tra i cigolii della sua branda ribaltabile e calendari di modelle ormai molto probabilmente arterosclerotiche o in stato di decomposizione.
E così, amico mio, dammi retta.
Fai come certi tennisti, come certi avvocati, come certi calciatori, come certi killer: smetti quando sei all’apice, smetti quando capisci che è ora di smettere perché altrimenti sono cazzi, cazzi veri.
E pure belli duri.








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